Chi siete? Che mestier fate? In dove andé? Dicete!
Sono queste le domande perentorie che si sente rivolgere Givanin B dal capo della ronda nella quale incappa a tarda sera, tornando dal lavoro, “sloffi e stracch come on asen de bottia” cioè stanco e abbacchiato come un asino da lavoro.
Capita a tutti, specie di questi tempi di pandemia, di incappare in un posto di blocco e di sentirci rivolgere le stesse domande, alle quali siamo preparati anche con autocertificazione, ma che tutto sommato preferiremmo non sentirle. Eppure i gendarmi che ci fermano sono al nostro servizio, sono gentili e professionali, se ci sanzionano è perché l’abbiamo fatta proprio grossa.
Non proprio così stanno le cose per il povero Giovannin Bongè.
Ma chi è G.B.?
E’ il protagonista di una delle più belle poesie in dialetto milanese di Carlo Porta, veramente un grande poeta, vissuto a Milano dal 1775 al 1821; anni in gran parte passati sotto la dominazione austriaca. Le vicissitudini descritte in questa poesia sono da collocare nel periodo della occupazione napoloeonica, quando cioè dominavano questi “prepontentoni de francess”. E Giovannin sembra nato per essere vittima delle prepotenze altrui. “I batost son semper pront come la tavola de l’ost!”
Al primo contatto con la ronda reagisce sdegnosamente e li manda a quel paese “son galantom, fo il cavalier e vivi d’entrada, e mò!?”. Ma quando entra in scena il grande capo “el respetor senz’olter” che lo interroga “in nomo della legge” capisce che gli conviene rispondere senza arroganza e fornisce tutte le informazioni richieste che comprendono, l’indirizzo preciso di casa, l’isolato, il numero civico, il piano dell’abitazione.
Giovannin capirà a sue spese che non ha messo in gioco solo la sua privacy ma la sua onorabilità: al rientro troverà sulla soglia di casa il gendarme che l’ha interrogato il quale si sta aggiustando il cinturone e la sciabola, completando il quadro con espliciti riferimenti alle bellezze della moglie: “voter famme è tres jolì e me plè.” Giovannin vorrebbe reagire con coraggio e determinazione, ma non sortisce altro effetto se non quello di buscarle di santa ragione.
Carlo Porta ha sempre manifestato la sua forte antipatia con la sua corrosiva e irridente poesia, verso i potenti, i nobili e gli sfruttatoriin generale; qui con ironia e con un tratto poetico potente denuncia quello che è il destino amaro degli umili e degli onesti: soccombere sempre.